Questo saggio ripercorre la storia del Centro Mondialità Sviluppo Reciproco, individuandone le matrici culturali. La scelta di intitolare il Centro allo “sviluppo reciproco” – ricorda il fondatore, don Carlo Leoni – suscitò malumori nello stesso clero, intaccando lo schema consolidato di un’identità cattolica autosufficiente rispetto al mutare storico, per la quale l’istituzione ecclesiastica possedeva la verità integrale sull’uomo, senza dover ricorrere a alcun apporto esterno. Negli “anni di guerra fredda” era “impensabile credere ad un concetto del genere”, l’espressione sembrava strana: “numerose persone, anche di alto livello culturale, mi chiedevano con curiosità e perplessità: “Ma perché reciproco? Cosa abbiamo noi da prendere da queste popolazioni?”. “Reciproco” era quasi “una parola proibita, perché c’era ancora il comunismo” (Intervista a Carlo Leoni, 30 novembre 2011).
Lo sfondo che emerge dal saggio è quello di un nuovo terzomondismo cattolico, nato dalla contestazione giovanile e dal dissenso post-conciliare. Il percorso dell’associazione, che oggi costituisce una realtà consolidata nel panorama della cooperazione internazionale, ha superato i profondi mutamenti socio-politici degli anni ottanta, sapendo interpretare le esigenze ed i bisogno determinati dalla crisi delle ideologie e dall’avvento della globalizzazione. Allo stesso tempo, lo spirito delle origini, costituito dalla volontà di agire concretamente per sostenere l’integrazione e l’emancipazione delle figure marginali della società, è rimasto inalterato, dimostrandosi un saldo collante per un’esperienza ormai più che trentennale.