Versi livornesi di Giorgio Caproni
Le poesie una volta pubblicate non appartengono più al loro autore, come scriveva Montale molti anni fa. Sono di tutti. Per questo proponiamo una selezione, assolutamente arbitraria, da Versi livornesi di Giorgio Caproni.
L’USCITA MATTUTINA
Come scendeva fina
e giovane le scale Annina!
Mordendosi la catenina
d’oro, usciva via
lasciando nel buio una scia
di cipria, che non finiva.
L’aria era di mattina
presto, ancora albina.
Ma come si illuminava
la strada dove le passava!
Tutto Cors’ Amedeo,
sentendola, si destava.
Ne conosceva il neo
sul labbro, e sottile
la nuca e l’andatura
Ilare – la cintura
stretta, che acre e gentile
(Annina si voltava)
all’opera stimolava.
Andava in alba e in trina
pari a un’operaia regina.
Andava col volto franco
(ma cauto e vergine il fianco)
e tutto di lei risuonava
al suo tacchettio la contrada.
NE’ OMBRA NE’ SOSPETTO
E allora che avrebbe detto
Ch’era già minacciata?
Stringendosi nello scialletto
scarlatto, ventilata
passava odorando di mare
Nel fresco suo sgonnellare.
Livorno le si apriva
tutta, vezzeggiativa:
Livorno, tutta invenzione
nel sussurrare il suo nome.
Prendeva a passo svelto,
dritta, per la Via Palestro,
e chi di lei più viva,
allora, in tant’aria nativa?
Livorno popolare
correva con lei a lavorare.
Né ombra né sospetto
era allora nel petto.
BATTENDO A MACCHINA
Mia mano, fatti piuma:
fatti vela; e leggera
muovendoti sulla tastiera,
sii cauta. E bada, prima
di fermare la rima,
che stai scrivendo d’una
che fu viva e fu vera.
Tu sai che la mia preghiera
è schietta e che l’errore
è pronto a stornare il cuore.
Sii arguta e attenta: pia.
Sii magra e sii poesia
se vuoi essere vita.
E se non vuoi tradita
la sua semplice gloria,
sii fine e popolare
come fu lei – sii ardita
e trepida, tutta storia
gentile, senza ambizione.
Allora sul Voltone,
ventilata in un maggio
di barche, se paziente
chissà che, con la gente
non prenda aire e coraggio
anche tu, al suo passaggio.