Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino, 1991
Dal capitolo I°, La scelta
Il 23 agosto 1943, uscendo dal carcere di Castelfranco Emilia, Vittorio Foa regalò al suo compagno di cella Bruno Corbi la Scienza nova seconda di Vico, apponendovi come dedica queste parole tratte dallo stesso testo vichiano: “per varie e diverse vie, che sembravano traversie ed eran in fatti opportunità.”
Foa si riferiva agli “ultimi penosi anni del fascismo”, ma la situazione era tale che quelle parole tanto valevano come interpretazione del recente passato, quanto suonavano profetiche per l’immediato avvenire. Esse intuivano quell’ “ampliamento del campo del possibile” che di lì a poco la catastrofe dell’8 settembre e la Resistenza avrebbero offerto agli italiani e che lo stesso Foa in altro suo scritto avrebbe poi così riformulato: “Durante la Resistenza, e per un breve momento, all’atto della liberazione, tutto ci era parso possibile.”
Italo Calvino, in un trafiletto dal titolo Omero antimilitarista sull’”Unità” di Torino del 15 settembre 1946, scriverà:
Cos’è infatti l’Odissea? È il mito del ritorno a casa, nato nei lunghi anni di “naja” dai soldati portati a combattere lontano, dalle loro preoccupazioni di come faranno a tornare, finita la guerra, dalla paura che li assale nei loro sogni di non riuscire a tornare mai, di strani ostacoli che sorgono sul loro cammino. È la storia degli 8 settembre, l’Odissea, la storia di tutti gli 8 settembre della Storia: il dover tornare a casa su mezzi di fortuna, per paesi irti di nemici.
Tra questi due poli – apertura al nuovo e corsa al rifugio conosciuto e sicuro – si colloca l’ampio arco delle reazioni che furono provocate negli italiani dall’armistizio dell’8 settembre 1943 e dallo sfascio immediatamente seguitone delle strutture militari e civili del paese.:……..
Su suggerimento del ministero della Cultura Popolare, l’annuncio dell’armistizio era stato pubblicato dai giornali listato a lutto. Era un’ipocrisia sia verso la grande maggioranza della popolazione che desiderava uscire comunque dalla guerra, sia verso i fascisti che avrebbero voluto continuarla. Ad essere avvertita come una nuova immensa Caporetto non era stata la sconfitta di fronte agli angloamericani, bensì quella improvvisa e precipitosa di fronte ai tedeschi. Vittorio Emanuele III capovolse il senso dell’appello che era stato fatto dal governo fascista, e, nel tentativo di rincuorare gli animi, questa volta contro i tedeschi, ricorse ancora al ricordo del 1917 nel discorso pronunciato da Radio Bari il 24 settembre. Il senso della sconfitta ricomparirà, come vedremo, nei fascisti della Repubblica sociale, quale stimolo alle loro velleità di rivincita e, in una parte almeno dei resistenti, come esigenza di ridare un volto nuovo, dopo la duplice sconfitta, alla identità nazionale.
Il quadro deve essere arricchito con il ricordo delle manifestazioni di solidarietà e di aiuto che gran parte della popolazione subito offrì agli sbandati e ai fuggiaschi. Era una solidarietà la cui essenza stava nel suo manifestarsi attraverso atti concreti. Accanto ai primi barlumi di resistenza attiva, in quei giorni furono largamente gettati I semi della “resistenza passiva” intesa come creazione di un clima e di un ambiente favorevoli alla prima. I macchinisti rallentavano la corsa dei treni ed effettuavano fermate impreviste per permettere ai soldati di scappare, o facevano trovare nei vagoni seghe e martelli come strumenti di evasione. I contadini erano “mossi da un sentimento confuso e grande che era insieme commossa pietà per tutti questi figli di mamma senza casa e in pericolo, solidarietà per questi uomini di altri paesi, in massima parte contadini come loro.” Un testimone parla ancora oggi con commozione di ragazze emiliane che “aspettavano I soldati, portavano da mangiare e poi dicevano ‘se volete fermarvi qua’”. Tutti offrivano vestiti borghesi ai militari. La fraternizzazione tra civili e militari, che non era riuscita sotto il segno equivoco di Badoglio, riusciva ora sotto quella comune disgrazia. Non ci si stringeva attorno all’istituzione regio esercito, ma si veniva in soccorso di italiani piombati nell’estremo pericolo. I pochi soldati rimasti inquadrati che qualcuno, a Torino, aveva avuto l’idea di mandare a disperdere la folla, furono da questa applauditi e abbracciati; i soldati rinchiusi in una caserma di Acqui furono liberati a furor di popolo. Lo scatenarsi di un tendenziale bellum omnium contra omnes trovò un contrappeso nell’aiuto che disinteressatamente si prestavano persone fra loro sconosciute. L’asprezza della guerra civile e della guerra contro l’occupante batteva alle porte, E la gente sembrava avesse scoperto che unico punto d’appoggio rimaneva la fiducia nel prossimo.