Quella di Astarotte Cantini è una storia drammatica. La sua tragedia si consumò nella tarda primavera del 1938, quando venne arrestato a Voroscilovgrad. Il 25 settembre dello stesso anno, la polizia sovietica lo condannò con l’accusa di spionaggio: di lui si persero per sempre le tracce, così come di sua moglie Lina e di suo figlio Gino. Una volta scomparsi coloro che l’avevano conosciuto nelle lotte degli anni Venti, tuttavia, a Livorno il suo nome e la sua esistenza sono stati cancellati dalla memoria. Eppure fu l’unico comunista labronico soppresso nelle purghe staliniane, certamente innocente. Innocente non solo perché riabilitato dalle autorità sovietiche dopo il XX Congresso e l’avvio della destalinizzazione, ma perché tutta la sua vita di semplice militante – prima anarchico e poi comunista – parla per lui. Era un giovane assai semplice, di cultura molto modesta, quasi illetterato, ma animato da una fede profonda e sostenuto da un carattere ribelle e tenace. L’iniziativa, organizzata da Istoreco Livorno con il contributo della Presidenza del Consiglio dei ministri e la gentile disponibilità della Provincia di Livorno, ha cercato ricostruirne la storia, riflettendo sulla complessa elaborazione del mito di Stalin nell’Italia del secondo dopoguerra e sulla condizione dei comunisti italiani in Unione Sovietica. Ne hanno discusso Mario Tredici, giornalista, Anna Maria Biricotti, ex parlamentare e Andrea Borelli, docente di Storia dell’Europa orientale all’Università di Pisa.

Astarotte Cantini - 25 Ottobre
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